venerdì 23 maggio 2008

Il George Best italiano - Gigi Meroni



Calciatore-artista. Beatle italiano. Esteta. Bohemien. Ye-ye.
Impossibile imbrigliare Gigi Meroni in unica definizione. Impossibile portare dentro schemi precisi un personaggio così multiforme, per molti eroe omerico moderno di fama e destino controversi, che affascina e sbigottisce. Mai ci erano riusciti, durante il suo breve arco di vita, in campo e fuori, allenatori, compagni e critica. Solo una riduzione possibile: inquadrarlo in un periodo storico e farne interprete, seppur originalissimo.

È questo Luigi Meroni, nato a Como il 24 febbraio del 1943, un ribelle atipico pure di natali, non il ghetto a far da scenario ma la tranquilla città di provincia. Qui, con poca voglia della scuola, cresce a pane e pallone nei campetti degli oratori, con muretti di pietra a delimitare il campo e farsi complici di furbesche e precise triangolazioni dei più estrosi, solitamente ‘innamorati’ a tal punto della palla da preferire il duetto sicuro col muro, improbabile amante, a quello pericoloso del compagno a cui gelosamente si nega il passaggio: leggenda vuole abbia origine in questo posto il suo modo anarchico di aleggiare sulle fasce del campo.
Il ragazzo mingherlino inizia a farsi notare nelle giovanili del Como, arriva la chiamata dell’Inter ma la madre è irremovibile: troppa apprensione le avrebbero causato i viaggi settimanali per Milano, solo in treno, del figlio ( per fortuna, altrimenti un altro fenomeno del calcio sarebbe rimasto solo una promessa).
Quindi il giovane Luigino inizia a lavorare come disegnatore di tessuti e cravatte: quel suo particolare modo di vestire degli anni successivi, per molti scandaloso, per altri bizzarro, per lui solo suo, troverà spunto in competenze e idee di questi tempi.
All’età di 18 anni esordisce in serie B con la maglia dei lariani e dopo appena un anno passa al Genoa in serie A, e automaticamente cresce la sua abilità con il pallone tra i piedi e anche la sua valutazione economica e anche il suo modo di fare e di porsi, infatti non c’è atteggiamento del ragazzo che non faccia discutere
Dopo appena due anni nelle file dei Grifoni passa al Torino per una cifrà all’epoca mai pagata per un ventenne….
Quando Meroni giunge a Torino si porta già dietro le etichette scomode di capellone, beatle italiano; molti sono gli scettici sul rapporto che questi potrà avere con il Paròn Nereo Rocco, sempre molto duro nei confronti dei piu giovani…ma Gigi si allena duramente, rispetta le regole imposte dall’allenatore, ma cmq è impossibile includerlo nelle regole fuori dal campo…infatti la leggenda vuole che si si batti per l’assegnazione del numero di maglia che a quei tempi corrispondeva ad un ruolo, lui voleva fortemente la n° 7, quello che permette a Meroni di cercare la sua libertà sulle fasce del campo, di ‘giocare a un altro gioco’ fatto di giocate spettacolari e dribbling funanbolici, più spettacolo che risultato, più bello che utile: esteta del calcio non a caso.
Col Torino gioca la sua più bella partita; dà vita a un duello epico con un avversario, Facchetti, che accetta di giocare a quel suo gioco altro e segna all’Inter un gol memorabile: dal quel giorno la farfalla non smette più di volare negli occhi sognanti dei tifosi della curva Maratona.
E quando il patron della Juventus, cerca di strapparlo al Torino per la enorme cifra di mezzo miliardo, i tifosi scendono in piazza scatenando una vera e propria rivolta…
Il suo rapporto con l’azzurro è difficile, ai mondiali gioca poco, non prende parte alla disfatta contro la Corea, eppure al ritorno in patria diviene il bersaglio preferito della critica.
Gigi Meroni e George Best. Parallelo affascinante, non sempre possibile. Entrambi numero 7, talenti cristallini, pettinatura beatle e un rapporto particolare con il denaro: “Ho speso un sacco di soldi per alcol, donne e macchine veloci... Tutti gli altri li ho sperperati” (Best); “I soldi? Preferisco spenderli, sa com è, farli girare” (Meroni). Ma un modo diverso di esprimere genio e sregolatezza fuori dal rettangolo di gioco. Best, nordirlandese di nascita, pallone d’oro del Manchester e quinto beatle del Regno Unito, mezza vita annegata in fiumi di alcol. Meroni, il beatle italiano, una breve vita normale, resa irregolare dall’aver sfidato convenzioni e critica sportva nazionale, perbenista e conservatrice.
Disegna i suoi abiti bizzarri, la capigliatura beatle è non convenzionale, la barba spesso incolta anche. I calzettoni in campo sono abbassati, come gli idoli Sivori e Corso.
Muore tragicamente il 15 ottobre 1967, una domenica in cui il Toro si impone per 4 a 2 sulla Sampdoria. Lui insieme al suo compagno di squadra Fabrizio Poletti attraversa Corso Re Umberto, dove si è appena trasferito dalla "mansarda di Piazza Vittorio", per andare a prendere un gelato. E' travolto dall'auto di un diciannovenne appena patentato. Ironia della sorte l'investitore, Attilio Romero, è forse uno suoi più grandi tifosi e futuro presidente del Torino. Muore la sera stessa per i gravi traumi riportati assistito dalla sua ragazza Cristiana, dai familiari e dai suoi amici. Ai funerali partecipano migliaia di persone per colui che fu il giocatore più amato e nello stesso tempo odiato d'Italia. Nel punto in cui fu investito i tifosi di Gigi ancora oggi portano fiori in sua memoria. La domenica successiva alla sua morte si gioca il derby con la Juventus che il Torino vince per quattro reti a zero (cosa che non è più successa). Tre goal sono messi a segno dal suo grande amico Combin che malgrado i 39 gradi di febbre scende in campo ugualmente, il quarto goal è segnato dalla maglia numero 7, indossata quella domenica da Carelli.
La farfalla non smetterà mai di volare